Portare il sogno

Portare il sogno

Il vento del cambiamento ha attraversato lo scenario editoriale italiano quando Francesca Ragazzi è stata nominata, nell’ottobre 2021, Head of Editorial Content di Vogue Italia.

Bolognese, classe 1988, Francesca si laurea in Lettere alla Sorbona di Parigi e, in questa stessa città, comincia la sua carriera in Condé Nast per poi trasferirsi a New York.

Ho sempre pensato che, non importa quale sia il tuo lavoro o che ruolo tu abbia, se sei capace di avere un dialogo vero con gli altri allora sei una persona degna di questo nome. Francesca Ragazzi, oltre a essere una giovane imprenditrice di successo e una professionista del settore, è una donna di valore.

Qual è la giornata tipo dell’Head of Editorial Content di Vogue Italia? Qual è la prima cosa che fai al mattino e l’ultima prima di andare a dormire?

Le mie giornate sono molto diverse tra loro, solitamente la prima cosa che faccio al mattino è leggere le news. Mi faccio un caffè e in contemporanea metto su un po’ di musica, a volte ascolto la radio, oggetto che vorrei far tornare in auge. Mi piacerebbe lanciare questa sfida a tutti: torniamo a usare la radio! Siamo talmente assorbiti dagli schermi che ci risulta difficile ascoltare delle parole.

Prima di andare a dormire chiamo mio marito per augurargli la buonanotte, viviamo a distanza.

Bologna è la città in cui sei cresciuta e a cui è dedicato il numero di agosto 2022 di Vogue Italia con Matilda De Angelis, quali sono gli insegnamenti più importanti che hai imparato dalla tua città?

Come abbiamo scritto nel numero di agosto, Bologna è una città mamma, una città in cui ti senti accolto. Uso sempre la metafora dei portici che per me sono salotti en plen air, rappresentano il prolungamento della casa e sono un luogo in cui la gente si ritrova, sta insieme e chiacchiera. È questa la mia idea di convivialità e dello stare insieme. Bologna è una città a misura d’uomo, una città rivoluzionaria che ha coraggio, promotrice e pioniera in tante cose come la musica, le arti. Arrivi a Bologna e respiri il concetto di subcultura e, per noi che dobbiamo raccontare storie e creare contenuti, è qualcosa di molto ispiratore.

Assieme a Vogue voglio provare a decentralizzare l’attenzione che c’è su Milano ed estenderla a tutta la nostra Italia. Trovo che il concetto di locale e iperlocale sia molto importante, dovremmo considerare anche le realtà più piccole. È per questo che una delle nostre rubriche è tenuta da Italy Segreta e ci porta ogni mese a scoprire un piccolo segreto italiano, a ritrovare qualcosa che magari è sempre esistito ma che noi ancora non conosciamo.

Bisogna cercare di vivere il paese come se fosse un’unica grande città che si connette alle altre attraverso il treno, che rappresenta la metropolitana d’Italia.

Una delle nostre missioni è quella di portare il sogno anche al di fuori dei soliti circuiti e lo facciamo grazie a questa attitudine emozionale e ispiratrice. Vogue fotografa il tempo, fotografa l’oggi ma, a differenza di tutti gli altri giornali, cerca di avere sempre uno sguardo verso il futuro e di trasmettere qualcosa di molto emozionale, empatico e non solo fattuale.

La tua nomina come Head of Editorial Content ha segnato una trasformazione senza precedenti. Quali sono le responsabilità più grandi che Vogue ha nei confronti della comunità?

Vogue ha la responsabilità di fotografare l’attualità e di prendersi dei rischi. L’ altro giorno, durante la sua intervista, Benedetta Barzini mi ha detto che ad ottant’anni si sente libera di dire quello che vuole. Vogue di anni ne ha 130 e oggi deve prendere posizione, portare avanti la conversazione, fare rumore con eleganza. Le grandi rivoluzioni, soprattutto quelle femminili, sono sempre state fatte con cura ed eleganza, mai con aggressività.

Vogue, in qualche modo, è nato come scrigno, era una realtà chiusa ed elitaria riservata ai pochi frequentatori dei grandi salotti newyorkesi. Oggi vogliamo aprire lo scrigno e accogliere tutti con i loro diversi punti di vista, rimanendo però sempre ad un livello superiore. La strada è lunga ma, come dice sempre Benedetta Barzini, i risultati delle grandi rivoluzioni non li vedremo in vita: noi però continuiamo a perseguire i nostri obiettivi.

C’è un famoso detto che dice: “Mai giudicare un libro dalla sua copertina”. Le copertine di Vogue, invece, hanno tutte un significato importante, sono anche manifesto politico di un’editoria che cambia in un mondo che cambia. Basti pensare a quella con Veronika Yoko (Confidence brings confidence) o a quella con Adut Akech Bior (Mediterraneo). Puoi parlarcene?

Le copertine di Vogue sono manifesto politico e miccia che fa poi esplodere un fuoco di contenuti, anche online. Senza quella prima scintilla non parte niente. Oggi tutto questo ha ancora più valore, in un mondo in cui le immagini durano pochissimo la nostra sfida è quella di far durare il messaggio della copertina il più possibile. Vivo le cover come fossero award e noi diamo questi riconoscimenti a donne meritevoli e a storie che devono essere raccontate.

A volte abbiamo celebrities in copertina, a volte storie come Mediterraneo, a volte modelle. 

Nell’ultimo numero c’è Mariacarla Boscono in Dior, donna vestita da una donna (Maria Grazia Chiuri è stata nominata direttrice creativa della Maison nel 2016), c’è sempre un fil rouge o una storia che vale la pena amplificare o ascoltare. Questo il senso della copertina: rimanere nel tempo.

Mi piace pensare che, così come sfogliamo i Vogue degli anni 80-90 e rivediamo la società di quel tempo, allo stesso modo fra 20, 30 anni chi leggerà l’attuale Vogue vedrà quello che succede oggi. Ed è per questo, per esempio, che ha senso mettere Chiara Ferragni in copertina. Farlo dieci anni fa non avrebbe avuto senso, farlo oggi invece sì. 

Il lavoro dell’editor è molto importante, editare vuol dire mettere ordine e fare delle scelte, non significa avere una lista di cento nomi di papabili copertine, è avere il nome giusto, nel timing giusto, associato al punto di vista giusto: è come comporre un puzzle.

Le idee posso venire dovunque, a volte da un lettore, a volte passeggiando per strada, a volte dal tuo collaboratore, a volte dal tuo peggior nemico. Il nostro è un lavoro di squadra ed è importante coltivare questo tipo di dialogo all’interno della redazione per poi poterlo condividere con tutti. 

 

Quando sei stata scelta per il ruolo che ricopri attualmente, Anna Wintour ha parlato della tua passione per lo storytelling che, a parer mio, è una vera e propria vocazione. Quali sono le storie che Francesca ci vorrebbe raccontare?

Racconto tante storie ogni giorno e credo che tutto sia storia. Quando esco immagino la vita delle persone che mi passano di fianco, mi immagino cosa pensano la mattina quando si vestono. Quella dello storytelling per me rappresenta un po’ un’ossessione. Vogue vuole raccontare storie in cui la gente possa riconoscersi e possa sentirsi rappresentata. 

Matilda De Angelis, che guarda un film sotto le stelle in Piazza Maggiore, è l’immagine di qualcosa che è successo a me, è successo a te e a tante altre persone. Quello che è scaturito da questo numero è stato incredibile, una persona mi ha mandato un libro che si chiama “L’anima delle città”, in cui Bologna viene citata attraverso la scena di una persona che arriva in città, sente il rumore di un film e si ritrova in Piazza Maggiore. 

E ora che lo scrigno si è aperto, siamo pronti a sognare, emozionarci, ma soprattutto a cominciare una rivoluzione. Con eleganza.