Napoli Amore - Intervista a Cesare Cunaccia

Napoli Amore - Intervista a Cesare Cunaccia

Come Marcello Mastroianni ha dichiarato in una sua vecchia intervista “Napoli è troppo speciale, non la possono capire tutti”.

Dominata dal Vesuvio e baciata dal Mediterraneo, Napoli è vibrante, viva, misteriosa.

Il capoluogo partenopeo da sempre ispira arte e cultura. In Napoli Amore, edito da Assouline, Cesare Cunaccia accompagna il lettore in un viaggio emozionante attraverso l’anima unica della città, raccontata anche con le immagini di grandi fotografi, che ne restituiscono la bellezza complessa e affascinante.

Vorrei cominciare con questa citazione su Napoli di Stanislao Nievo, tratta dal libro: “Se ci fosse una capitale dell’anima, a metà tra oriente e occidente, tra sensi e filosofia, tra onore e imbroglio, avrebbe sede qui". Cosa ne pensi di questa affermazione?

Napoli è la capitale dell’anima proprio perché possiede mille anime sovrapposte e intrecciate. Luci e ombre, chiaroscuro. È plebea e aristocratica, oscura e devota alla luce, sacra, esoterica e profana, pagana, edonistica e spirituale, arcaica e futura. Non puoi rimanere indifferente a questo spirito prepotente e talvolta problematico, capace di farti domande cruciali e di immergerti in te stesso come uno specchio profetico e spiazzante. Non puoi sfuggire a questa densità unica di emozioni e bellezza, di opulenza e povertà in contrasto dialettico, al mare e alle tenebre sotterranee per chilometri, a una rete di vicoli inestricabile, vertigine ed esagerazione barocca. Napoli è una vera metropoli pervasa di contraddizioni vibranti e, a differenza delle altre grandi città italiane, è sempre stata un’entità metropolitana fin dall’epoca ellenistica, senza mai cessare di attirare e interpretare il mondo con i suoi ipnotici occhi di sirena e di medusa. Ogni invasione, ogni apporto esotico lungo i secoli è diventato e diventa assimilazione. Rielaborato secondo nuovi e inattesi parametri, si è trasformato in un’identità enorme e composita ma immediatamente riconoscibile. L’arte di Caravaggio, per esempio, un pittore maudit seguito per centinaia di anni da legioni di artisti e intellettuali internazionali che scelgono ancora oggi di vivere dentro il mito di Partenope, cambiò radicalmente direzione divenendo preveggenza filmica nella Napoli vicereale dei primi del Seicento. E c’è la musica, che è pura anima, ieri come oggi. Dal Settecento di Pergolesi, Jommelli e Traetta fino alla grande tradizione della canzone ottocentesca e del Novecento, che ha partorito testi e suoni evocativi e intramontabili. Alcuni testi di Pino Daniele, la voce roca e sottile di Roberto Murolo, quella arcaica di Sergio Bruni, si collocano in una sfera che è simbolo e poesia. Per fare anima, affermava James Hillman, ci vuole la bellezza.

Napoli Amore; Cesare Cunaccia; ASSOULINE EU Coffee Table Books
(a sinistra) Una splendida giovane donna fissa l'obiettivo mentre tiene in equilibrio un vaso di argilla sulla testa in questa fotografia del 1920. (a destra) Pulcinella è il personaggio locale della commedia dell'arte inventato nel XVII secolo dall'attore capuano Silvio Fiorillo.

Qual è il tuo primo ricordo di Napoli e come è cambiata nel tempo la tua percezione della città?

Difficile dirlo. Forse sono gli odori, un misto di cose sublimi e talvolta crude, viscerali, come quelli della cucina, come la pasta alla genovese, agrodolce e aromatica, oppure le voci, la cacofonia e il brusio, rumori e suoni sincopati e tellurici, gli sguardi indagatori ed eloquenti più della parola. Il riflesso del sole sui paliotti d’argento della Cappella di San Gennaro, mentre salgono volute d’incenso. L’Elektra di Strauss al San Carlo e l’esortazione surreale di "Jesce Sole" nella Gatta Cenerentola di Roberto di Simone. Il mare di un azzurro compatto come il cielo, navigando bambino verso Capri, un altro mio luogo del cuore. Napoli evolve sempre, cambia radicalmente per rimanere se stessa. Oggi è una meta tornata ad essere internazionale, amata proprio per questa sua identità integra e mutante, per il ritmo sempre uguale e sempre diverso, carnale ed astratto. Unica.

Dal libro Napoli Amore edito da Assouline – fotografia di Ciro Pipoli
Il polpo appena pescato viene spesso venduto alle bancarelle, immerso in vasche d’acqua salata. Il fotografo Ciro Pipoli ha dedicato un intero progetto al racconto delle persone e delle emozioni della sua città.

Descrivi Napoli come una città in cui la joie de vivre incontra il fatalismo, e dove le difficoltà croniche coesistono con un approccio innovativo al futuro. Come pensi che i napoletani riescano a bilanciare questi estremi?

I Napoletani vivono in uno stato di emergenza costante, eppure in questo caos organizzato – basti pensare al traffico impressionante – tutto funziona anche meglio che in luoghi che pretendono di essere efficienti. In un’epoca così labile e in rapidissimo cambiamento come quella che stiamo vivendo, è una filosofia di resilienza e speranza che diviene messaggio universale. I partenopei intrattengono un rapporto esoterico e confidenziale perfino con la morte. Napoli non è mai razzista, assimila e accoglie chi sa aprirsi a lei. Il fatalismo, la coralità e una visionarietà esoterica hanno permesso alla città di sopravvivere a tutto: invasioni, guerre, terremoti ed eruzioni del Vesuvio, trasformandoli immancabilmente in occasioni di rinascita e di rinnovamento catartico, artistico e energetico. Il futuro a Napoli si nutre di radici arcaiche e dell’accumulazione di un passato che diviene un drive atemporale vivido e suggestivo. È un bilanciamento, un equilibrio e un dissidio che esiste solo qui e che fa parte dell’identità di un popolo quanto la lingua locale, dalle sonorità e sfumature infinite, fluide ed immediate.

The Barraccos #1 Photograph by Slim Aarons
L'elegante Maurizio Barracco e la Baronessa Mirella Barracco posano con orgoglio insieme ai loro cani su un balcone affacciato sul mare di Napoli, nel 1985. Foto di Slim Aarons.

Se dovessi paragonare Napoli a una canzone, quale sceglieresti e perché?

Difficile dirlo, ce ne sono talmente tante. Forse sembrerò banale, ma "Napul’è" di Pino Daniele ripercorre e sublima tutte le contraddizioni e la struggente magia della città. Oppure "Cumm’è" di Enzo Gragnaniello, cantata da Roberto Murolo e Mia Martini, con quelle voci che sembrano uscire dal tempo ed emergere dal magma vulcanico per librarsi sul mare. Ma ce ne sono tante: "Catarì", "Carmela", "Indifferentemente", la criptica "Sciummo"... lungo un secolo e mezzo sono infinite ed ogni anno, per esempio, i Neomelodici inventano una hit che assurge a tormentone, emblematica di un momento di vita collettivo.

I napoletani sono noti per i gesti fisici che accompagnano il loro modo di parlare. Foto di Roberto Salomone.

Quanto tempo hai trascorso a Napoli durante la ricerca e la scrittura di questo libro? Hai un luogo preferito in città, uno che per te ha un significato speciale?

È stato difficile scegliere cosa raccontare della città perché il patrimonio che riassume in sé è infinito, poliedrico e tutto importante sotto vari profili, lungo una linea di esistenza mai interrotta dall’epoca di Alessandro il Macedone fino ad oggi. Quindi ho dovuto tagliare molto, concentrarmi su alcuni temi, non lasciarmi travolgere da questa ondata di lava fatale. Ripeto sempre che il libro, più che narrare la città, esplora e cerca di riprodurre il suo ritmo, il carattere unico, la temperatura emotiva ed esistenziale di Napoli. È stata una lunga e sofferta genesi, ma da molti anni mi dedico ad apprendere, a scavare in questo tesoro di segni, memorie, antico e futuro. Amo molto il Rione Sanità, oggi in totale rinascita e un tempo luogo difficile e degradato. Mi piace come alcune sue figure trainanti, da Padre Loffredo ad Alessandra Calise Martuscelli, dallo scultore e docente Christian Leperino a Ciro Oliva di Concettina ai Tre Santi, ne abbiano riletto la storia e contribuito all’attuale rinascita. Un luogo che per me è un po’ l’"Aleph" di Borges, è l’ipogeo ellenistico dei Cristallini, dove, nella penombra a vari metri sotto terra, si trova una testa di Medusa che risale a quattro secoli prima di Cristo, ancora piena dei colori originari.

Una delle fontane monumentali di Napoli, la Fontana del Sebeto, costruita nel 1635, è interamente scolpita nella roccia di piperno.